Intensità di cure: dalla padella alla brace?

In questi ultimi anni, anche dietro la spinta della contrazione di risorse in materia di Sanità, stanno nascendo nuovo modelli di organizzazione sanitaria.

INTENSITA’ DI CURA.

Tra tutti i possibili modelli quello che ha suscitato un maggiore interesse da parte dei nostri amministratori è la “ intensità di cura”.

La intensità di cura presuppone una modalità di organizzazione dell’ospedale che riconosce la diversità del paziente in termini di complessità del quadro clinico e di intensità di cure necessarie alla soluzione del caso.

Il modello, come avviene spesso, nasce negli USA dove, in molti ospedali i malati sono ricoverati in base alla loro complessità, la gestione dell’unità di intensità è affidata a personale infermieristico e la presenza costante del medico è garantita solo dagli interni , dai fellows.

I vari specialisti sono solo dei consulenti chiamati al bisogno e spesso su richiesta o di altri specialisti o  solo del personale infermieristico che segue il paziente.

Bisogna però precisare che negli Stati Uniti, ed in molti altri paesi di lingua inglese come l’Inghilterra, il personale infermieristico ha raggiunto elevati livelli di professionalizzazione ed anche di specializzazione.

Da noi questo percorso di crescita culturale del personale infermieristico è iniziato da qualche anno e sta procedendo veramente a grandi passi, però non si è ancora completato.

AREE OMOGENEE.

In Europa il modello americano dell’intensità di cura è stato rivisitato e ne sono state proposte varianti che tengono conto maggiormente della organizzazione dei nostri ospedali.  In molte realtà, l’area di riferimento dove l’individuo viene ricoverato non è identificata in base alla patologia prevalente in quel momento, ma alla sua situazione clinica ed ai suoi bisogni assistenziali oppure in “aree omogene”. Le aere omogenee vedono accorpate specialità ad uguale intensità assistenziale.

Ad esempio la nefrologia clinica a media assistenza, può  essere accorpata con la cardiologia in quanto entrambe hanno 180 minuti medi di assistenza/die/paziente; meno efficace l’accorpamento con la medicina che ha 120 minuti medi di assistenza/die/paziente.

In questo tipo di organizzazione i letti di cui si ha la gestione sono ben identificabili e la responsabilità dei pazienti è definita; gli specialisti in consulenza sono sempre chiamati all’occorrenza; l’occupazione letti ha una gestione a “fisarmonica” nel senso che i letti liberi non restano garantiti alle specialità ma vengono occupati sulla base delle tipologie cliniche in entrata. Inoltre viene sempre  definito il medico “tutor” che ha il compito della presa in carico.

PRO E CONTRO.

Gli esegeti dell’intensità di cure in senso stretto dicono che vi è frammentazione nel percorso di un paziente con più patologie nella gestione tradizionale dei reparti specialistici, mentre la intensità di cura garantisce una attenzione sanitaria proporzionata alla gravità della patologia.

Se però il meccanismo non è ben rodato possono esserci diversi problemi.

  • Per esempio si può ridurre l’attenzione (anche solo visiva) sui singoli pazienti se questi sono “dispersi” su vaste aree dell’ospedale.
  • Se non c’è coordinamento, l’arrivo dello specialista al letto del malato non sempre vede la disponibilità del personale infermieristico e quindi ne conseguono ritardi nell’inquadramento della patologia.
  • Se i singoli dati di laboratorio non sono inquadrati nella patologia si possono generare inutili consulti . Per esempio in presenza di un PTH elevato in un paziente con una malattia renale cronica di grado severo, viene dal personale infermieristico richiesto l’intervento dell’endocrinologo.
  • Inoltre è molto facile perdere la relazione medico-paziente che è alla base per avere l’empowerment da  parte del paziente e quindi della sua adesione alle cure. Il paziente cronico con insufficienza renale ha multiformi aspetti psicologici, sociali e sanitari che vanno gestiti in maniera unitaria altrimenti lo stesso paziente si disperde e riduce la compliance terapeutica che è fondamentale nel controllo stesso della malattia.

Forse dovremo tutti ripensare a modelli organizzativi che permettano alle persone ricoverate di essere accolte e curate nella loro complessità ed individualità e nel contempo ai professionisti, di esprimere al meglio le proprie competenze e capacità sfruttando nel modo più razionale possibile le risorse a disposizione.

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